Ci avete mai pensato su?
La squadra di calcio per cui si tifa fin da bambini, non si cambia.
Non si riesce a cambiarla.
Lei resterà per sempre la nostra personale squadra del cuore.
Si riesce a cambiare moglie.
Nel corso della vita ci si può innamorare di più di una persona.
Si può cambiare idea politica o meglio e ancora più facilmente partito politico.
Ma la squadra per cui si tifa no.
Non so dire perché.
Ci sarà una dotta spiegazione psicologica che onestamente non mi va di andare a ricercare.
Si sceglie da bambini o forse è lei che ci sceglie.
Forse un gesto o un condizionamento di un adulto; forse un regalo ricevuto; forse un atto sportivo che ci ha colpito indelebilmente e imperituramente; forse i colori della maglia; forse l’amore per la propria città o zona di nascita; forse altro…
Fatto sta che una volta scelta, non si cambia proprio più. Non si riesce più a cambiarla.
Se si potesse misurare con uno strumento, “il tifosometro”, il livello, l’entità o lo stile di tifoseria da parte di ognuno di noi nel corso della vita, sicuramente avremmo misurazioni diverse sia in funzione dell’indole e carattere di ognuno di noi, sia in funzione dei fatti e del decorso della nostra vita.
Ma, come con un interruttore, basta un “clic qualsiasi” per trovarsi a discutere e difendere la propria amata squadra davanti a tutto e tutti.
Ricordo che il primo pallone che mi avevano regalato era bianco e nero e che me lo aveva regalato lo zio preferito che teneva alla Juve. Forse è partito tutto da lì.
All’inizio degli anni 80 ho poi partecipato in qualità di socio fondatore alla costituzione dello Juventus Club del mio paesello, che nonostante fosse a soli 10 km dal luogo di ritiro dell’Inter ed avesse all’epoca poco meno di mille abitanti, contava oltre 800 iscritti ottenendo così una citazione speciale sulla rivista Hurrà Juventus (anche se in realtà gli iscritti risiedevano anche nei paesini del circondario, fu un dato significativo da rappresentare).
Alla festa dell’istituzione del Club furono presenti tre calciatori, tre campionissimi di quel periodo: Rossi, Boniek, Cabrini.
Ma, siccome per noi prevaleva di più l’ambito sportivo e la passione per il bel gioco del calcio, invitammo anche Serena che era stato molto apprezzato nel Como e in quel periodo militava nell’Inter; ed anche l’orgoglio calcistico del nostro paesino, Attilio Papis, che da giovane giovane era stato preso nella Primavera del Torino proprio nello stesso periodo in cui nella Primavera della Juve c’era Cabrini, e che poi fece tutta la sua carriera tra la Serie B e la C. Ma, quella sera Cabrini lo riconobbe e fu simpatico sentire loro ricordi di inizio carriera. Quella sera fu speciale anche perchè donammo ai tre campioni una scultura di bronzo (a cera persa) creata e realizzata, seppur artigianalmente per hobby, da mio padre!
Negli anni seguenti oltre ad organizzare pullman per andare a vedere la squadra allo stadio, sovente portando anche i bambini, almeno una volta all’anno abbiamo fatto altre cene di incontro con i nostri beniamini: un anno avevamo lì 6 giocatori sulla rosa di 11; ma il top fu raggiunto con la presenza nel nostro club del nostro piccolo paesello di Michel Platini, il più grande di quel periodo!
Il ricordo più triste fu la sera dell’Heysel.
Un pullman di nostri soci era presente allo stadio; noi in paese prenotammo interamente il salone dell’unico ristorante ed eravamo in quasi 300 con cena e schermo gigante, strumento tecnico abbastanza difficile da trovare e prenotare a quell’epoca.
Al verificarsi dei fatti, restammo impietriti e svegli tutta notte (i telefonini per comunicare in tempo reale non erano nemmeno nella fantasia delle persone) fino all’alba quando potemmo rivedere i nostri amici che erano subito ripartiti e avevano viaggiato tutta la notte.
Solo uno dei nostri, uno spilungone di oltre un metro e novanta, fu colpito di striscio in fronte da qualche oggetto.
Ma avevano tutti il terrore negli occhi perché avevano visto da vicino cosa era successo ed anche i morti.
Forse in conseguenza di quel fattaccio, o forse per il fatto che comunque ero già un tifoso tiepido, o meglio pacato, nel senso che aborrivo comunque di mio gli ultras, di qualsiasi fazione o maglia fossero, mi allontanai dalla, chiamiamola così, tifoseria attiva.
Ma, come dicevo, la passione per la propria squadra del cuore non muore mai.
E, in ufficio o altrove appena si accende una discussione sul tema, non si può non intervenire e, a ragione o a torto, scatta la difesa ad oltranza della propria squadra!
È così che vanno le cose in fatto di tifoseria. Non si può fare diversamente.
Da qualche anno, dovendo transitare quasi ogni giorno da una specifica fermata della metro linea rossa di Milano, notavo che nel locale vetrina di un ciabattino proprio lì di fronte all’uscita, si radunava un drappello di persone in calorosa discussione. Non ho saputo resistere. In quel covo di milanisti contro interisti non poteva mancare la strenua difesa dell’intruso juventino.
Però devo riconoscere che Gennaro (il ciabattino), nonostante non azzecchi neanche un congiuntivo, è tra le persone più competenti in fatto di schema di gioco del calcio che abbia mai conosciuto. Ed è sempre imparziale nei giudizi, perché proprio come me, privilegia la soddisfazione di vedere un bel gioco. Quando una squadra gioca bene, le va dato merito. Quando un giocatore è una spanna sopra gli altri, gli va dato merito.
Poi però ci sono le schermaglie del prima e dopo partita, i giochetti del calcio mercato, gli errori arbitrali e.…da lì l’animo del tifoso prende il sopravvento.
Quel che conta è sempre finire con un aperitivo in simpatia.
Da due mesi siamo senza calcio e non è ancora definitivamente chiaro se e quando e come si riprenderà il Campionato.
Per parlare di questo, ma anche in modo più ampio del calcio professionistico, ho voluto fare due chiacchiere con una persona per la quale nutro una stima personale e professionale fin dalla fine del secolo scorso, cioè da quando, all’epoca era un Alto Dirigente bancario, e ricopriva anche la carica di Presidente del Forex Club Italia, il Dott. ERNESTO PAOLILLO. Poi per anni Dirigente dell’Inter; quindi Docente del Corso di Economia e Gestione delle imprese sportive presso la LIUC di Castellanza; e co-fondatore del “Fair Play Finanziario”.
WALTER VALLI:
Dott. Ernesto, dalla Finanza al Calcio. Solo lavoro ed affari o anche tifoso (per chi tifa?) o appassionato del gioco del calcio?
ERNESTO PAOLILLO:
Quando mi è stato proposto dal Presidente Moratti di occuparmi dell’Inter, la mia esperienza era prettamente bancaria e finanziaria. Nato professionalmente in banca, avevo dedicato la mia carriera ed i miei studi alla finanza ed ai mercati finanziari. Infatti, per lunghi anni sono stato Presidente del Forex, anni in cui tra l’altro le crisi monetarie, italiane e non, erano frequenti e la volatilità dei mercati decisamente intensa.
La proposta di Moratti mi aveva trovato favorevole innanzitutto perché era una prova per me stimolante, poi perché ero tifoso proprio dell’Inter sin da bambino. Occuparsi della propria squadra del cuore credo sia il sogno di ogni tifoso.
Inoltre ero convinto, e oggi lo sono ancor più, che la componente sportiva sia solo una parte, una facciata di un Club professionistico calcistico.
Ma il Calcio è un’industria, con le sue regole, i suoi rituali, la sua organizzazione e la finanza è trasversale a tutto.
Dalla costruzione della rosa dei giocatori, al mercato di compra-vendita e suo finanziamento, dalle dinamiche dei costi (organizzazione eventi, trasferte, impianti sportivi, manodopera tutta); a tutte le politiche commerciali e di marketing, e in più sponsor e diritti televisivi.
Come si intuisce facilmente oltre al calcio giocato, è la finanza che fa da padrona.
WALTER VALLI:
Le sue idee e il suo approccio manageriale finanziario hanno portato significativi cambiamenti nella modalità di gestione delle squadre professionistiche? Mi riferisco in particolar modo al Fair Play Finanziario…
ERNESTO PAOLILLO
Quando sono entrato nel mondo del Calcio, la caratteristica di questo mondo, in Italia, ma anche all’estero, erano la montagna di debiti dei vari Club, le perdite vistose di tutte le squadre, regolarmente appianate tutti gli anni dai Presidenti mecenate, e la sommatoria di debiti.
Indice tutto ciò di un chiaro e diffuso problema gestionale.
In Uefa poi avevo avuto modo di riscontrare come questo malessere, o mala gestione, fosse un problema diffuso in ogni Paese, tranne limitatissime eccezioni.
Ecco perché erano nate le discussioni sull’argomento, ed ecco perché quando uno studio appositamente voluto aveva evidenziato quanto macro fosse il problema, e quanto un’eventuale crisi, che i mercati finanziari avevano già conosciuto fino a esplodere nel caso Lehman Brothers, avesse fatto valutare le possibili drammatiche conseguenze sull’industria del calcio europeo, era così nata l’idea di correre ai ripari mettendo ferree regole di comportamento bilancistico.
Questo è stato fatto con il Financial Fair Play, che ha avuto il grande merito di azzerare i debiti fra Club, di ridurre vistosamente gli indebitamenti, e di limitare le possibilità di deficit di bilancio.
Inoltre i ricavi, e non gli aumenti di capitale, consentivano da quel momento la capacità di spesa, e dunque si spostava finalmente l’attenzione sul fare ricavi, e non solo da competizioni, e quindi di portare ben altra managerialità nei Club.
WALTER VALLI
E tutto ciò ha anche portato alla creazione del Corso Universitario sulla Economia e Gestione delle Imprese Sportive….
ERNESTO PAOLILLO
Infatti, è nata così diffusamente nei Club, italiani ed esteri, nelle Leghe, nelle Federazioni, la necessità di individuare manager preparati e attenti a questa tipologia di tematica.
L’Università, affiancando la preparazione e gli studi in Economia, Diritto e Marketing allo studio delle tipicità delle società sportive e non solo calcistiche, era ed è in grado di produrre Manager adeguati.
WALTER VALLI
Il Calcio, secondo alcuni il “più bel gioco del mondo” quindi non è più solo un gioco, o forse non lo è mai stato…
ERNESTO PAOLILLO
Quando si parla di professionismo, in qualsivoglia Sport, non si parla ormai solo di Sport ma di tutto quello che ruota attorno.
Società sportive organizzate, impianti sportivi attrezzati, settori giovanili per far crescere e individuare i talenti, attrattività di sponsor per i Club e per i singoli atleti, conseguenti attività e strategie di Marketing, diritti televisivi, attrazione di spettatori e di tifosi, vendita di maglie, tute, divise, gadget di ogni tipo,
Attività web e social, sono il vero motore di tutto. Poi il tutto sfocia nell’evento sportivo che è la fase di vendita del prodotto base: l’emozione.
Ecco l’industria Calcio vende un prodotto tutto suo, l’emozione e più alto è il livello del gioco, più alta è la performance, maggiore è la qualità della prestazione, si ottiene il moltiplicatore indispensabile per raggiungere alti ricavi.
Il professionismo vive di ricavi.
WALTER VALLI
Il Calcio però esiste anche grazie e soprattutto ai tifosi. Cosa possiamo dire su questo questo argomento?? Già è stato fatto tanto in termini di policy….
ERNESTO PAOLILLO
Come vede l’ industria produce per vendere ai consumatori, e per fidelizzare i consumatori.
Ecco i tifosi sono i consumatori che acquistano l’emozione che un Club di Calcio dà loro, e li fidelizza con i risultati, con l’ entità della passione, con l’adrenalina che riesce a suscitare in loro.
Il tifo, proprio perché basato sull’adrenalina, rischia a volte di essere incontrollato e di sfociare in esagerazione e a volte in violenze.
Ecco tutto questo va gestito, governato oltre che ovviamente evitato.
Una squadra che si fa apprezzare anche per la qualità del proprio tifo troverà più adesioni dappertutto, in casa e fuori, attrarrà più sponsor con brand di qualità non timorosi di ledere la propria immagine, amplierà il proprio mercato alle famiglie intere, coinvolgerà i bambini.
Non è solo etica, che di per se è già importantissima, ma è anche creazione di un ampio mercato.
WALTER VALLI
Questa terribile pandemia ha bloccato tutto. Qual’è la sua opinione in merito alla ripresa dei giochi di squadra, alla ripresa o meno del Campionato e delle Coppe Europee?
ERNESTO PAOLILLO
Sarò brutale. La caccia agli spiccioli pro utili per limitare i danni che possono derivare da minori tagli di televisioni e sponsor rischia solo di offrire agli utenti uno spettacolo di bassa qualità, raffazzonato.
Riprendere giusto per riprendere, con giocatori non preparati reduci da un lungo stop, affrontato da ciascuno a suo modo, con atleti svogliati o paurosi che devono rispettare i contratti sì ma con malavoglia e con spettatori assenti, stadi vuoti o chissà come, non l’offerta del prodotto migliore nel rispetto del consumatore.
Si salvano forse, ma neanche, i bilanci ma con quali risultati?
E poi un campionato portato a termine con modalità diverse dopo un lungo Stop è lo stesso campionato ? Ci sarà la stessa concentrazione da parte di tutti gli artefici dello spettacolo?
No, non è questo lo spettacolo da offrire.
Ogni industria ha sofferto per il Covid e ha portato le proprie perdite.
Ma quando riprende, riprende per produrre gli stessi prodotti di qualità: come prima o meglio di prima per vincere la cambiata competitività.
Il calcio non sta facendo questo.
Meglio sarebbe concentrarsi e lavorare sin da adesso allo spettacolo da offrire a Settembre quando si riprenderà e a studiare e attrezzarsi per il nuovo prodotto da offrire in situazioni mutate.
Mi viene da concludere con una battuta “se ci fossero più Ernesto Paolillo nelle Dirigenze delle squadre di calcio e negli spalti negli stadi, il Calcio sarebbe ancora più bello di quello che già è”!