Quale il futuro del rating italiano?
Moody’s, Fitch, Standard&Poors e downgrade a junk del rating Italiano? Spettri di un possibile futuro ricorrono di nuovo con frequenza su tutti i canali social e di informazione. Così come sono tornati “trend topic” lo spread e il rating. In che modo si tengono insieme tutti questi elementi? Lo vediamo subito. E intanto anticipiamo che c’è un risvolto per le famiglie italiane, i cui risparmi a fine 2017 erano ancora detenuti principalmente in depositi bancari e prodotti postali, e che in questa fase storica potrebbero cogliere l’occasione anche per allungare lo sguardo oltre le Alpi.
La galassia del rating italiano
Il rating italiano viene assegnato da agenzie come Moody’s, Fitch e S&P1, le quali formulano un giudizio sintetico su società, enti pubblici, Stati ed enti sovranazionali che emettono titoli obbligazionari. Tale giudizio riguarda la solidità finanziaria dell’emittente: sarà capace o no di pagare le cedole e di rimborsare poi il capitale agli investitori?
Il voto va dalla “A”, nelle sue varie ripetizioni e declinazioni, che rappresenta la massima robustezza e affidabilità, alla “D”, che invece indica il default, l’insolvenza, il fallimento. Per semplificare il quadro, diciamo che i rating si collocano in due grandi aree:
- l’investment grade, o high grade: questa area, in cui il livello di rischio è basso o medio-basso, si spinge fino a includere il voto BBB- o Baa3 (a seconda dell’agenzia);
- lo speculative grade, o high yield: sotto la soglia del BBB- o del Baa3 ci sono le emissioni obbligazionarie che sottintendono un grado di rischio decisamente più elevato.
Italia in bilico
In questa scala, l’Italia e il rating italiano, oggi appare alquanto in bilico. Moody’s il 19 ottobre ha annunciato il declassamento a Baa3 da Baa2, con outlook “stabile”: fra le motivazioni, la mancanza di riforme strutturali, la stagnazione della crescita e il timore di un ulteriore aumento del debito pubblico in scia alla scelta dell’attuale governo di spostare verso l’alto il rapporto deficit/PIL atteso per il prossimo triennio.
Standard & Poor’s ha rilasciato la sua nota aggiornata una settimana più tardi, il 26, spiegando che dal suo punto di vista il rating rimane BBB e che a cambiare sono invece le prospettive: non più “stabili” ma “negative”. Secondo S&P, i target di crescita del governo sono “eccessivamente ottimistici”. La decisione di rivedere la riforma delle pensioni, poi, vista la situazione demografica italiana, se pienamente realizzata potrebbe “minacciare la tenuta a lungo termine della finanza pubblica”.
Gli annunci di Moody’s e S&P hanno chiuso il cerchio aperto a fine agosto da Fitch, che all’epoca ribadì il rating BBB abbassando l’outlook da “stabile” a “negativo”: prossima revisione all’inizio del 2019, e intanto l’agenzia ha già avvertito che un suo eventuale declassamento avrebbe un impatto sugli istituti di credito ritenuti più solidi.
Tensioni con l’UE sul rating italiano.
Nei loro giudizi sul rating italiano, le agenzie di rating hanno fatto riferimento a una serie di numeri e previsioni. Vale quindi la pena di riepilogare l’antefatto. Come tutti i governi dell’eurozona, a metà ottobre l’esecutivo italiano ha dovuto inoltrare alla Commissione Europea il Documento Programmatico di Bilancio, che sintetizza i contenuti della Legge di Bilancio 2019.
Il Draft Budgetary Plan spedito da Roma a Bruxelles il 15 ottobre confermava i numeri della nota di aggiornamento al DEF approvata dal consiglio dei ministri il 27 settembre: rapporto deficit/PIL al 2,4% nel 2019, al 2,1% nel 2020 e all’1,8% nel 2021, con pareggio di bilancio rinviato a dopo il 2021.
Fra le principali misure previste, l’introduzione della flat tax per le piccole imprese e per i lavoratori autonomi, gli interventi di ristrutturazione del sistema pensionistico a favore dell’occupazione giovanile e l’istituzione del reddito di cittadinanza. Una “deviazione senza precedenti nella storia del Patto di Stabilità e Crescita” secondo la Commissione UE, che il 18 ottobre ha inviato a Roma una lettera firmata dai commissari Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici.
La bocciatura sul rating italiano e le ansie degli investitori
La replica del ministro Tria – secondo cui il governo italiano “è cosciente di aver scelto un’impostazione della politica di bilancio non in linea con le norme applicative del Patto di Stabilità e Crescita”, una decisione “difficile ma necessaria alla luce del persistente ritardo nel recuperare i livelli di PIL pre-crisi e delle drammatiche condizioni economiche in cui si trovano gli strati più svantaggiati della società italiana” – è stata ritenuta insoddisfacente.
E il 23 ottobre è arrivata la bocciatura ufficiale, con l’invito a spedire una versione del DPB rivista e corretta entro tre settimane. Mentre il governo tiene il punto, il Parlamento italiano si prepara all’esame del relativo disegno di legge.
E’ dunque possibile un downgrade a junk del rating italiano? Finora le frizioni tra il governo italiano e la Commissione UE hanno avuto riflessi abbastanza significativi sui mercati: sull’obbligazionario, il rendimento del decennale è salito portandosi dietro lo spread BTP-Bund, in zona 300 punti base; sull’azionario, il principale indice di Piazza Affari, il Ftse Mib, ha perso l’8% circa in un mese (secondo i dati aggiornati al 30 ottobre), complici le vendite sui titoli delle banche. Le quali hanno pagato lo scotto di avere in portafoglio il 40% del debito italiano in circolazione, il cui valore è sceso proprio di riflesso ai rendimenti più alti delle nuove emissioni.
Alla ricerca di porti sicuri
In questo quadro, tra i risparmiatori italiani sono tornate a serpeggiare le paure di misure eccezionali per fare fronte a eventuali esigenze straordinarie di bilancio: lungo la penisola si aggirano gli spettri delle patrimoniali e dei prelievi forzosi. Senza trascurare la possibilità, che per ora rimane sullo sfondo, di una rottura insanabile tra l’Italia e l’UE, con l’uscita della prima dall’Unione e dall’area euro. Tirando le somme sulle ipotesi di downgrade del rating italiano, questo non è il quesito principale a cui dover dare risposta e non tutto, viene per nuocere. Questa situazione, infatti, può servire a rinfrescare la memoria su tre lezioni fondamentali:
- essere difensivi non vuol dire non investire: i soldi fermi sul deposito o sul libretto di risparmio non solo non rendono, ma sono anche esposti al potere erosivo dell’inflazione e a eventuali patrimoniali e prelievi forzosi (se proprio le cose dovessero mettersi male per i conti pubblici del Paese);
- un investimento difensivo si basa su un’adeguata diversificazione, in termini di strumenti detenuti e di aree geografiche e valute a cui si è esposti, possibilmente con il supporto di una consulenza finanziaria professionale e seria;
- la diversificazione può essere anche territoriale, se ci si apre all’opzione di affidare la gestione di una parte dei propri risparmi, attraverso un regolarissimo conto estero, a operatori qualificati come Goodwill Asset Management.
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