Sul tema dell’emissione e collocamento del nuovo Btp Italia a 5 anni “patriottico”, ulteriore emissione di debito pubblico italiano per finanziamento spese Covid-19, su cui abbiamo ricevuto molte domande dagli iscritti al Community Caveau, sentiamo il parere autorevole di Maurizio Rossi, formazione matematica, alle spalle una lunga carriera nella finanza, gestore di portafogli per vent’anni in primari istituti internazionali.
A firma di: Maurizio Rossi
Il collocamento del nuovo BTP Italia, che avrà luogo da lunedì 18 a mercoledì 20 maggio, mi fornisce l’occasione di fare il punto sulla finanza pubblica italiana alla luce di quanto è successo in questi mesi e degli scenari che si potrebbero aprire nei prossimi anni.
Per rendere comprensibile il ragionamento sono necessarie alcune premesse, che la maggior parte di voi sicuramente già conosce ma che può essere utile inserire in un ragionamento unitario.
Innanzitutto, è bene ribadire un concetto basilare e cioè che la ricchezza di un paese dipende essenzialmente da quanti beni e servizi esso produce, cioè dal suo PIL, e dall’evoluzione della sua competitività nel tempo.
Il livello del risparmio o del patrimonio immobiliare dei cittadini è secondario rispetto al PIL e difficilmente un paese può prosperare a lungo se il PIL non cresce.
L’Italia è in difficoltà da molti anni sul fronte della crescita economica per un mix di motivi, alcuni non del tutto chiari: burocrazia, corruzione, giustizia inefficiente, alta tassazione, imponente debito pubblico, scarsa capacità di fare sistema, elevata evasione fiscale sono tutte concause ben note alle quali aggiungerei anche una certa rassegnazione e depressione che caratterizza un’ampia fascia della popolazione.
Non potendo analizzarle tutte, limitiamoci a quelle che più attengono ai nostri fini; cominciamo con il debito pubblico.
L’EVOLUZIONE DEL DEBITO PUBBLICO IN ITALIA
Grafico 1
Il grafico 1 spiega molte cose e fa giustizia di tante menzogne che spesso si sentono nei talk show televisivi; il debito pubblico l’abbiamo creato noi italiani e ben prima che ci fosse l’UE ed i parametri di Maastricht.
Negli anni ’60, gli anni del boom economico, il PIL cresceva a ritmi sostenuti, il debito pubblico si muoveva proporzionalmente ed il rapporto debito/PIL (linea lilla) si manteneva abbastanza stabile. Negli anni ’70 la crescita economica, pur con qualche crisi, era ancora buona ma il debito pubblico cominciava ad accelerare pericolosamente; la vera svolta, però, è all’inizio degli anni ’80 quando, dopo un periodo di stagnazione del PIL, i governi di allora, per intenderci il pentapartito a trazione democristiana e socialista, impostarono una politica di fortissima spesa pubblica. Il risultato fu che la crescita economica effettivamente ripartì ma il debito pubblico esplose ed il rapporto debito/PIL passò dal 60% al 120% nel giro di una decina d’anni. Nel 1992 ci fu la prima grave crisi del debito pubblico Italiano, nonostante, e qui si sfata un mito sovranista, avessimo la nostra moneta ed il pieno controllo della nostra Banca Centrale, la Banca d’Italia. Rintuzzata questa crisi dal governo Amato con una manovra “lacrime e sangue”, dopo pochi anni inizia l’unico periodo nell’ultimo cinquantennio in cui il rapporto debito/PIL cala, grazie o per colpa a seconda dei punti di vista, delle politiche del governo Prodi, finalizzate a far ammettere l’Italia nella moneta unica.
I primi anni 2000 sono stati caratterizzati da una crescita economica molto più modesta che nei decenni precedenti e da una stabilizzazione del debito pubblico reale, grazie anche al significativo abbassamento dei tassi di interesse. Qua si apre un dibattito su chi sia il principale responsabile della bassa crescita: i vincoli di Maastricht, che non ci permettono di fare più deficit di bilancio o noi italiani che non siamo capaci di liberarci dalle nostre croniche inefficienze?
Ognuno scelga la risposta che preferisce.
Faccio però notare che un paese come il Belgio, che non mi sembra il “non plus ultra” in Europa, caratterizzato come l’Italia da alto costo del lavoro ed elevata tassazione, è riuscito a coniugare crescita economica e riduzione del debito pubblico molto meglio di noi. Il Belgio è passato da un debito/PIL del 138% nel 1993 ad un rapporto dell’87% nel 2007. Una riduzione di oltre 50 punti percentuali in 14 anni!
Come ha fatto? Una spending review seria ed alcune riforme che hanno consentito di ottenere un saldo primario di bilancio pubblico (vedere paragrafo successivo per la spiegazione di cosa sia il saldo primario) intorno al 5% per diversi anni; nonostante questa politica, che si definirebbe comunemente di austerity, sono cresciuti molto più di noi negli ultimi 25 anni.
Il controesempio del Belgio contraddice la tesi che sono i parametri di Maastricht ad impedire la crescita economica dell’Italia.
Dopo la crisi finanziaria del 2008 è diventato effettivamente più difficile coniugare il risanamento della finanza pubblica e crescita economica, ma se l’Italia ha sostanzialmente sprecato gli anni dal 2000 al 2007 per migliorare la sua situazione a chi va addebitata la colpa?
Inoltre, segnalo anche che dal 2014 al 2019 il Portogallo ha ridotto di più di 10 punti percentuali il suo rapporto debito/Pil.
L’eccezione siamo noi. Forse qualche domanda dovremmo cominciare a farcela e non darci sempre risposte autoassolutorie.
Un’ultima considerazione prima di chiudere questo paragrafo. A fine 2020, a causa del Covid 19, il PIL reale italiano arriverà intorno a 1.600 mld di euro, i livelli di metà anni ’90, ed il debito/PIL arriverà al 155-160%, un quadro che definirei preoccupante.
COME SI FINANZIA UNO STATO
In Italia si parla sempre molto di tutte le spese che lo stato deve sostenere (sanità, scuola pubblica, pensioni, sicurezza, difesa, costruzione e manutenzione di infrastrutture ecc.) e molto poco di come finanziarle.
Uno Stato ha essenzialmente tre modi di procurarsi i fondi: imporre tasse, emettere debito e “stampare” denaro tramite la sua Banca centrale. La terza via è sostanzialmente preclusa ai paesi dell’area euro perché nessuno stato ha un controllo diretto sulla BCE ed i trattati europei vietano di finanziare la spesa pubblica in questo modo. Vedremo più avanti che non è proprio così, perché la BCE, a guida Draghi, ha abilmente aggirato l’ostacolo con il QE e questa politica sta proseguendo anche con la signora Lagarde.
Negli anni ’70 le tasse in Italia erano molto più basse di adesso ed i governi di allora finanziavano la spesa pubblica sia emettendo titoli di Stato, che venivano comprati principalmente dai cittadini italiani, sia utilizzando uno scoperto di conto corrente presso Banca d’Italia, che poteva arrivare fino al 14% del totale della spesa pubblica. Detto in altri termini, Bankitalia stampava lire su richiesta del governo. Questa politica è molto rimpianta da tanti economisti e politici “sovranisti”, i quali però si dimenticano di citare gli effetti collaterali dello “stampare moneta”: l’inflazione galoppante e la svalutazione costante della propria divisa nazionale.
Per non allungare e complicare troppo il ragionamento non approfondisco i motivi per i quali l’inflazione sia un fenomeno negativo; credo che il grafico 2, che evidenzia della svalutazione della lira rispetto al marco tedesco, dimostri abbastanza chiaramente cosa succede quando uno stato emette troppa moneta. La lira debole aiutava le imprese ad esportare e l’economia italiana sembrava così reggere; chi poteva investiva poi il suo patrimonio in valuta estera e così non subiva la svalutazione. Per alcuni industriali questo era il Paese delle Meraviglie; valuta debole dove avevano le fabbriche e gli utili reinvestiti in titoli di Stato americani, tedeschi e svizzeri. Capisco perché lo rimpiangano. Ma per gli altri italiani era davvero la soluzione migliore? Era l’unica possibile?
Grafico2
Le imprese tedesche, altro controesempio, pur subendo il marco forte, sono cresciute molto di più di quelle italiane anche in quegli anni, dimostrando che il problema non era la forza della divisa nazionale. Ciononostante, ci sono parecchi personaggi che rimpiangono quegli anni e propugnano un’uscita dall’euro per tornare ad avere una lira che si svaluti in continuazione e consenta alla nostre imprese di essere più competitive. Questo ragionamento è, a mio avviso, ancora più sbagliato oggi di allora, perché negli anni ’70 non c’era la globalizzazione, la Cina e le altre economie asiatiche non erano degli attori importanti e l’economia era molto meno aperta agli scambi.
Nel 2020 fare concorrenza esclusivamente sui costi per un’economia avanzata europea è semplicemente un suicidio.
Dopo il cosiddetto “divorzio tra il Tesoro e la Banca d’Italia” del 1981, il governo non poteva più obbligare formalmente Banca d’Italia a stampare moneta per finanziare le sue spese, ma non cambiò molto dal punto di vista sostanziale.
L’Italia continuò anche per tutti gli anni ’80 ad avere un deficit di bilancio molto rilevante, cioè spendeva decisamente di più di quanto non incassasse con le tasse. Una parte era dovuta agli interessi sul debito, che crescevano man mano che lo stesso aumentava, ma non era solo quello. L’Italia ha avuto per tutti gli anni ’80 un deficit primario di bilancio (linea azzurrina grafico 3), cioè spendeva, anche non considerando gli interessi sul debito, più di quanto non incassasse con le tasse. Se guardate assieme i 3 grafici che vi ho mostrato credo che converrete con me che la situazione non fosse sostenibile e, infatti, tutto esplose all’inizio degli anni ’90, in concomitanza con lo scandalo di Tangentopoli.
Un bel gioco sarebbe mettere sull’asse delle ascisse i governi in carica nei vari anni e vedere l’impatto delle loro politiche sui saldi di finanza pubblica. Chi ha tempo lo faccia, scoprirebbe cose interessanti.
Grafico 3
LA SITUAZIONE ATTUALE E LE PROSPETTIVE FUTURE
Ricapitolando, alla fine del 2020 l’Italia si troverà con un rapporto debito/PIL intorno al 160%, con un deficit di bilancio pubblico superiore al 10% e con un gran numero di imprese in difficoltà o, speriamo di no, chiuse per sempre. Non proprio un quadro rassicurante.
Proviamo ora a rispondere alla domanda più importante per i nostri fini: il debito pubblico italiano è sostenibile? Non è una risposta semplice, poiché dipende da moltissime variabili; proviamo ad analizzarle in sintesi.
La storia della finanza ci insegna che non esiste un livello di debito/PIL al quale necessariamente scatta l’allarme insolvenza (default). Ci sono stati default di paesi con il 30% di debito/PIL e c’è il Giappone che convive con un debito pubblico superiore al 200% del suo reddito. Una variabile molto importante è conoscere chi detiene i titoli del debito pubblico e sapere se questi soggetti hanno fiducia o meno nella capacità di rimborso del paese debitore.
Il debito pubblico del Giappone è detenuto per il 90% da istituzioni finanziarie e cittadini giapponesi, che sottoscrivono fedelmente ogni emissione. I non giapponesi ne detengono una percentuale minima e non sono rilevanti nella formazione dei prezzi.
Anche gli Stati Uniti convivono da anni con elevatissimi deficit di bilancio ed un debito pubblico in costante aumento senza nessuno scossone ed anzi con un dollaro che si rafforza. Buona parte del debito americano è detenuta da stranieri, i quali però finora hanno mostrato una fiducia assoluta nell’economia USA e continuano a comprare dollari e titoli di Stato USA. Non è proprio garantito che questo stato di cose vada avanti per sempre, però finché il dollaro rimarrà la principale valuta di riserva del mondo, gli americani potranno continuare a vivere sostanzialmente sulle spalle del resto del mondo. Questo signoraggio è anche uno dei principali motivi perché gli USA hanno sempre cercato di far saltare l’euro e temono molto la Cina. Se euro o yuan dovessero sostituire il dollaro come principale valuta di riserva, per gli USA sarebbero guai grossi.
Vediamo allora chi detiene il debito pubblico italiano.
La tabella ci mostra che circa il 50% è detenuto da istituzioni e cittadini italiani (questi ultimi hanno solo il 5% direttamente), il 30% da istituzioni estere ed il 20%, che dovrebbe diventare quasi un 25% a fine anno, dalla BCE.
La componente estera è la più volatile ed una quota del 30% in mano ad investitori stranieri non è bassa. Secondo me, se non ci fossero stati gli acquisti della BCE, adesso il nostro spread rispetto al bund sarebbe almeno a 500 b.p. e non a 250 b.p..
Quello che gli investitori, soprattutto quelli esteri, vorrebbero vedere per investire con maggiore convinzione nei BTP è un rapporto debito/PIL che scende nel tempo in maniera costante, grazie a politiche credibili e sostenibili.
Ho adesso la necessità di aprire una parentesi un po’ tecnica, ma spero di riuscire ad essere abbastanza chiaro lo stesso perché è importante. Cerco, infatti, di spiegare quali sono le variabili che incidono sul rapporto debito/PIL e come interagiscono tra loro.
Dove
=variazione rapporto debito/pil all’anno t
it = tasso di interesse nominale pagato sul debito pubblico
= tasso di inflazione nell’anno t
gt = tasso di crescita del PIL nell’anno t
b t-1 = rapporto debito/PIL nell’anno t-1
= disavanzo primario di bilancio nell’anno t
Negli ultimi anni l’Italia ha avuto degli avanzi primari di bilancio poco sotto il 2% del PIL, ma una crescita ed una inflazione troppo basse per rendere un numero negativo il primo fattore del membro di destra dell’equazione. Il risultato è stato che il rapporto debito/PIL si è stabilizzato ma non è calato.
Nel 2020 ci sarà un incremento notevole del rapporto debito/PIL, dovuto al crollo della crescita (g) e ad un notevole disavanzo primario, necessario per finanziare tutte le spese previste dai vari decreti. E dopo cosa accadrà?
Provo ora a delineare alcuni scenari di medio periodo a seconda del governo che ci sarà in Italia e di cosa deciderà di fare l’UE e la BCE.
SCENARIO 1: ELEZIONI ITALIANE IN CUI VINCE SALVINI E LA COALIZIONE DI CENTRODESTRA
È quello ad oggi più probabile, secondo il mio modesto parere.
L’Europa, con fatica, partorisce il recovery fund e l’Italia riesce nel 2020 e 2021 a finanziarsi a tassi bassi, grazie anche all’azione della BCE che continua a comprare i titoli di Stato di tutta Europa.
L’Italia va alle elezioni in un momento imprecisato tra il 2021 ed il 2023 (termine ultimo di legge) e vince la coalizione di centrodestra a guida Salvini.
Salvini imposta una politica fiscale molto espansiva con flat tax, “quota cento” prorogata per altri anni e tutte le manovre di spesa pubblica che cita spesso nella sua propaganda. L’addendo primt peggiora molto, per la riduzione delle tasse e l’aumento della spesa; la scommessa del leader leghista è che gt , cioè la crescita del PIL, migliori di così tanto da annullare il disavanzo primario. Per finanziare il notevole aumento del debito, che ci sarebbe comunque almeno nel primo anno, dovrebbe emettere molti titoli di Stato e si pone il problema di chi li voglia sottoscrivere. Dubito molto che gli investitori stranieri si fiderebbero di tale strategia, perché storicamente in Italia, quando si sono fatti ampi deficit di bilancio, il debito è sempre cresciuto più del PIL, facendo peggiorare il rapporto (vedi grafici 1 e 3). Anche l’evidenza aneddotica di altri paesi mostra che il taglio delle tasse fa aumentare un po’ il PIL ma non abbastanza da recuperare nel tempo il gettito mancante.
Personalmente sono anche convinto, per una serie di motivi che sarebbe troppo lungo spiegare, che il taglio delle tasse in Italia avrebbe un impatto modesto sul PIL.
Credo che l’altra faccia della scommessa di Salvini stia nel fatto che la BCE dovrebbe comprare qualsivoglia ammontare del debito pubblico italiano perché l’Europa non può permettersi che l’Italia faccia default o esca dall’euro. A mio avviso è un azzardo molto forte, perché i tedeschi potrebbero correre il rischio della distruzione dell’euro pur di non sentirsi “ricattati” da noi.
Con il QE la BCE sta sostanzialmente finanziando pro quota la spesa pubblica di tutti i paesi europei. Infatti, vedi grafico sopra, c’è chi comincia a fare i conti sul debito pubblico italiano al netto della quota detenuta dalla BCE. Tecnicamente si dice che la BCE sta monetizzando il debito, in maniera sostanzialmente simile a quanto faceva Bankitalia negli anni ’70. La differenza enorme è che l’economia europea nel suo complesso è molto più solida di quella italiana e, quindi, non ci sono gli enormi effetti collaterali visti sopra.
Se la BCE comprasse principalmente debito italiano essa finanzierebbe la nostra spesa pubblica; in pratica gli altri paesi d’Europa fornirebbero un sussidio all’Italia e questo non è accettato così pacificamente dai paesi del Nord, come dimostra la sentenza dei giorni scorsi della Corte costituzionale tedesca.
Non è impossibile che la BCE un giorno monetizzi il debito pubblico italiano, ma mi sembra molto improbabile che venga permesso all’Italia di fare le politiche di bilancio che vuole, senza che la Commissione Europea ci metta bocca, anche perché quanto fatto in passato (vedi sopra) non depone certo a favore della nostra credibilità.
I paesi del Nord hanno anch’essi le loro colpe per il malfunzionamento dell’area euro, e non sono poche, però insultarli un giorno sì e l’altro pure non mi sembra la strategia migliore per arrivare ad un accordo proficuo per tutti.
A qualunque soluzione si arrivi, mi sembra però probabile che, se Salvini metterà effettivamente in pratica le politiche che pubblicizza, si arriverà prima o poi ad uno scontro feroce sui mercati, che provocherà molta tensione sui titoli del debito pubblico italiano ed un aumento dello spread. Non certo uno scenario positivo per chi vuole portare a scadenza un titolo che rende abbastanza poco e che dovrebbe essere stabile.
SCENARIO 2: GOVERNO ISTITUZIONALE GUIDATO DA DRAGHI
Probabilmente il più conservativo e positivo a livello di scenario. Qualunque coalizione vada a governare, sia un governo istituzionale guidato da Draghi, sia una coalizione di centro sinistra o anche una di centro destra che però faccia poi politiche contrarie a quelle che propaganda adesso, riesce in qualche modo a rimettere in moto il paese con la collaborazione dell’UE, che intanto stringe sempre di più le maglie dell’unione politica, e della BCE che continua a comprare debito pubblico. I tassi di interesse italiani scendono bruscamente, allineandosi a quelli della Francia o della Spagna, si fa qualche riforma che riesce a rilanciare un minimo l’attività economica, si mantiene un discreto avanzo primario di bilancio (2/3% del PIL). Tutti i Btp performano benissimo e vengono regolarmente rimborsati a scadenza.
Tra questi due scenari estremi ce ne sono molti intermedi che ognuno può immaginare a piacimento, in accordo con le sue aspettative. A seconda dello scenario che ognuno di voi ritiene più probabile, potete conseguentemente immaginare quale comportamento potrà avere il BTP Italia sul mercato nel corso del quinquennio di vita.
CONCLUSIONI
Penso che nel prossimo quinquennio si deciderà molto del futuro dell’Italia e dell’Unione Europea. Il tatticismo che ha caratterizzato gli ultimi dieci anni non potrà andare avanti a lungo: o si fa una vera unione politica, dove i governi dei singoli paesi cedono sovranità a favore di un governo europeo, o si va verso una disgregazione, almeno parziale, con alcuni paesi che usciranno o verranno espulsi.
I titoli del debito italiano resteranno probabilmente volatili in questo periodo e oscilleranno anche molto a seconda di cosa accadrà.
Molti italiani considerano i titoli di stato assolutamente sicuri e non considerano minimamente la possibilità che i soldi prestati oggi allo Stato non vengano restituiti integralmente ed in euro.
Gli investitori esteri non la pensano così ed è utile sapere il loro pensiero, non tanto perché abbiano sicuramente ragione, ma perché sono quelli che determinano i prezzi sul mercato.
Il grafico sottostante mostra l’andamento dello spread italiano negli ultimi 2 anni e mezzo e i motivi che lo giustificano: secondo l’analisi di Pictet uno 0,60%, un quinto dello spread, è dovuto al rischio di Italexit, cioè che il rimborso avvenga in lire e non in euro. Nel 2018 questo rischio veniva valutato più concreto poiché era arrivato sopra l’1%. La parte rimanente, poco meno del 2%, è dovuta al rischio di credito, cioè che il debito non venga rimborsato integralmente.
Questo spread non è poca cosa, considerando che c’è un compratore fisso come la BCE, presente ogni giorno sul mercato. Nei prossimi mesi è anche possibile che il debito italiano venga downgradato dalle società di rating a titolo high yield, causando un flusso di vendite da parte di investitori che non possono o non vogliono detenere tali titoli.
P.S. Spero di non avervi annoiato troppo con tutte le cifre esposte in questo pezzo, ma ho una formazione matematica e mi piace usare numeri e grafici perché non mentono mai, mentre le persone, soprattutto quelle di potere, lo fanno spesso.
Per chi volesse approfondire, può raggiungermi sulla mia e-mai e consiglio le seguenti letture:
- La trilogia di Carlo Cottarelli: “La lista della spesa” (sulla spesa pubblica), “Il macigno” (sul debito pubblico) e “I 7 peccati capitali dell’economia italiana” tutti editi da Feltrinelli.
- Per un approfondimento sociologico “La società signorile di massa” di Luca Ricolfi, edito da La nave di Teseo
- Per un approfondimento sovranista potete consultare le slides del piano B per l’Italia, scritte dai Prof. Savona e Rinaldi, dove delineano il piano di uscita dell’Italia dall’euro.
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2 comments to “IL NUOVO BTP ITALIA A 5 ANNI “PATRIOTTICO” E LE PROSPETTIVE DEL DEBITO PUBBLICO ITALIANO”
Matteo - 18, Mag, 2020
Buongiorno, grazie per l’articolo, in cui si vede che c’è molto “mestiere”, in sintesi mi sembra di capire che questa nuova emissione presenti gli stessi rischi del resto del debito pubblico italiano. Ma essendo garantito dallo Stato Italiano, il debito non è sicuro? Io ho una polizza assicurativa di un’assicurazione italian, quella posso stimarla sicura al 100%?
Il Team di Gwam - 19, Mag, 2020
Buongiorno Matteo i Btp sono debito pubblico statale che in caso di fallimento vengono ristrutturati non onorando capitale e interessi pattuiti all’emissione. Le polizze assicurative italiane solitamente hanno una percentuale molto elevata di titoli di stato italiani al loro interno allineando il loro rischio a quello del default dello stato italiano. Qui di seguito un nostro articolo su come limitare i possibili rischi di uno scenario avverso sui titoli di stato italianiANDRÀ TUTTO BENE, O FORSE NO… LA PANCHINA ROSSA e sui rischi attuali del settore bancario italiano STRESS TEST BANCHE ITALIANE: I 2 FATTORI CHIAVE